OGNI VOLTA CHE TI PICCHIO , , ,

La pandemia ci ha costretto a rimanere chiusi in casa, per evitare che il virus si diffondesse. Un provvedimento necessario, ma che ha fatto storcere il naso a molti. Al di là delle lamentele, più o meno giustificate, non credo tutto sommato che sia stato un gran sacrificio, al netto della perdita di vite umane e di lavoro, questo è chiaro. Ma ogni cosa deve essere analizzata caso per caso. È statisticamente provato che durante il lockdown le violenze domestiche sono aumentate: casa non è quindi sinonimo di sicurezza. Per tale motivo consiglio la lettura del libro di Meena Kandasamy.

 

Kandasamy racconta in prima persona, e in maniera molto coraggiosa, il suo primo matrimonio, durato solo quattro mesi. Meena è una studentessa, scrittrice, impegnata politicamente. Si innamora di un professore universitario dopo una brutta delusione d’amore, durante una campagna contro la pena di morte. I due decidono di sposarsi in breve tempo, ma in seguito qualcosa cambia: il marito sembra volere il controllo di ogni cosa, rimprovera la moglie di non adeguarsi ai dettami dell’ideologia maoista, da lui perseguita, contro ogni possibile velleità borghese. Il marito disprezza il suo femminismo, la sua voglia di intraprendenza, ogni suo pensiero critico. Meena deve solo recitare la parte della brava moglie dipendente dal marito.

Kandasamy insiste giustamente sulla condizione femminile in un paese arretrato, da tale punto di vista, come l’India. Il marito, del quale non viene mai citato il nome, le proibisce di usare Internet, di continuare a scrivere, di vestirsi come vuole. In poche parole distrugge la sua femminilità, in nome di una proletarizzazione che dovrebbe allontanarla dall’ideale borghese. Il senso di controllo si traduce in violenze fisiche e sessuali, al fine di castigarla per ricondurla alla retta via, al fine di reagire alla sua di violenza, quella dei borghesi. Tutto sotto il silenzio della società indiana che da un lato strizza l’occhio alle azioni del marito, dall’altro rimprovera Meena di non aver reagito.

VOTO 10 FERMATE: Ciò che risalta più di tutto è la durezza del racconto. Kandasamy non risparmia dettagli scabrosi, funzionali a restituire la terribile realtà. La scrittrice parla della protagonista come un personaggio creato per narrare la storia: le feroci considerazioni contro il marito diventano ovvie solo a posteriori. L’autrice spinge il lettore a concentrarsi su quei quattro mesi, sui motivi per cui lei non ha reagito e denunciato tutto subito, sulla paura e sul timore che la sua condizione sarebbe durata in eterno. Un racconto quanto mai essenziale.

CITAZIONE: Devo imparare dalla gente intorno a me. Devo imparare che andare alla drogheria dell’angolo senza una dupatta sopra la tunica può far accigliare quelli che incontro, perché non sto rispettando il loro senso del decoro; devo imparare che mio marito non mi tiene per mano in pubblico per rispetto dei costumi sociali; devo imparare che un comunista prende soltanto l’autobus perché è il mezzo di trasporto del popolo; devo ricordare che io sono responsabile del mio corpo di donna, e che non devo muovermi o camminare in modo da suggerire che esso sia un oggetto di desiderio e di piacere; devo imparare che una donna comunista viene trattata alla pari e con rispetto in pubblico dai compagni, ma a porte chiuse può essere presa a schiaffi e chiamata “puttana”. Questa è dialettica.

Libero Iaquinto

Ascolta anche la recensione di Flavia di questo libro:

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