La festa del coronamento di August Strindberg
Il protagonista del racconto è il conservatore di un museo, ricoverato in ospedale perché travolto da un cavallo imbizzarrito. Durante la convalescenza inizia a dipendere dalla morfina, sotto l’effetto della quale ripercorre gli avvenimenti importanti della sua vita. In preda all’euforia, crede che l’inquilino della casa accanto all’ospedale sia un suo nemico, da cui deve farsi perdonare qualche torto. Intanto, tra l’ospedale e la casa del nemico, inizia la costruzione di un altro palazzo, che progressivamente nega la vista del nemico e della sua lampada verde, metafora della colpa, da cui il conservatore è ossessionato.
Le allucinazioni portano il protagonista a riflettere sulle azioni sbagliate durante la sua vita, giunta ormai al termine. Ripercorre i momenti che hanno segnato la fine del suo matrimonio, dalla nascita del figlio all’influenza negativa della sua famiglia. Confessa all’infermiera che lo assiste il suo passato coloniale in Congo, il suo odio per la mediocre borghesia, il suo interesse per la scienza alternativa. La figura di un nemico immaginario alla finestra rende il senso di colpa vivido e l’urgenza del perdono reale. Una volta che l’edificio viene ultimato, non permette la vista del nemico, e il malato può abbandonarsi alla pace che cercava.
VOTO 10 FERMATE: la scrittura di Strindberg è nervosa e rende bene l’idea del soggetto. L’autore svedese, personaggio tutt’altro che facile, è figlio delle teorie predominanti di inizio Novecento, come l’analisi psicologica e il misticismo. Per questo è interessante tener conto di come la narrazione segua il percorso di un delirio sotto effetto della morfina, un flusso di coscienza alterato sinteticamente, una costante frantumazione dell’Io. La via tortuosa attraverso la quale si giunge al perdono è scandita dalla sofferenza, che si acutizza col passare delle pagine. Fondamentale, per capire appieno l’opera, è l’introduzione di Franco Perrelli.
Citazione: “Di contro, vennero dei tizi con tanto di caschetto in testa a portare pali e catene, cominciarono a misurare, tracciare, calcolare, inquadrare. Solo allora capii che avrebbero costruito proprio là, e mi rallegrai che l’occhio verde non avrebbe più potuto raggiungermi, che ci si sarebbe finalmente messa una pietra sopra e che il passato sarebbe stato rimosso e dimenticato! E così iniziarono a scavare; ma, quando abbatterono gli alberi, la casa del mio nemico mi si contrappose più nuda che mai.”
Libero Iaquinto
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