Medusa di Martine Desjardins
La protagonista viene chiamata Medusa dalle sue sorelle. È affetta da un grave problema fisiologico che non le consente di lacrimare. Col passare del tempo si vergognerà sempre di più dei suoi occhi, denominandoli nei peggiori modi possibili durante il racconto. Perfino la famiglia la abbandona in un istituto per ragazze con malformazioni, la cui direttrice si presenta prima ostile, ma poi cercherà di tenerla accanto a sé in modo ossessivo, apprezzandone la resistenza al dolore. L’istituto è stato fondato da tredici benefattori che una volta al mese si recano all’istituto per giocare con le loro protette. Ma ben presto Medusa scoprirà la natura di tali giochi e il terribile segreto che incombe sull’istituto.
La storia di Medusa è una storia di solitudine e di vergogna. La rabbia e l’umiliazione da lei provate sono le fondamenta su cui erige la sua esistenza. I suoi occhi non solo pietrificano, ma uccidono, svelando la verità nuda delle cose, che incute paura. Una volta che Medusa si rende conto della sua forza, la indirizza verso l’unico obiettivo che le sue esperienze hanno costruito: la vendetta. Medusa racconta la sua storia in prima persona, rivolgendosi a qualcuno che verrà svelato solo verso la fine. Quel qualcuno riuscirà a scatenare la vera forza di Medusa, una forza femminina che non riusciva ad esprimere, perché soffocata dalla vergogna che la società e il mondo esterno le causavano.
Voto 20 fermate: Pagina dopo pagina resterete pietrificati anche voi, seduti in metro. La scrittrice predilige il tono orrido e scandaloso, per un libro che sicuramente non vi lascerà indifferenti. Desjardins non lesina passaggi duri, caratterizzati dalla cattiveria di alcuni personaggi, soprattutto maschili. La misoginia riempie tutto il romanzo; ogni ragazza o donna è succube del potere maschile, esercitato da pagliacci e bambini viziati. Ne risulta un racconto lontano dalla verosimiglianza ma denso di significato metaforico, non particolarmente tenero con la società e le sue dinamiche.
Citazione: Col viso ancora rosso di confusione mi sono nuovamente seduta, per scoprire che il distillatore aveva imbottito gli sgabelli con cuscini flatulenti. Mentre si asciugava le lacrime di riso ha agitato l’intruglio, che è diventato d’un marrone violaceo appena l’ha rimestato con un bastoncino di vetro. Ha versato il miscuglio in una coppa con uno schiocco di lingua soddisfatto. Ho chiuso le mie Impudicizie prima di bagnarmi le labbra. Ho riconosciuto il sapore dell’aceto, della salsa all’acciuga, della candeggina, dell’olio di fegato di merluzzo, del sapone alla violetta e del borace.
Libero Iaquinto
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