FAI UNO SQUILLO QUANDO ARRIVI , , ,

Forse il nome dell’autrice vi dice poco, ma magari almeno una volta nella vostra vita vi siete imbattuti nel blog “Memorie di una vagina”, uno scanzonato raccoglitore di pensieri, riflessioni, aneddoti di una trentenne pugliese trapiantata a Milano,  che facilmente si prestano a rappresentare l’intera generazione dei giovani precari italiano, dalla condizione lavorativa e sentimentale parecchio altalenante.

 

Ero una lettrice di questo blog, e sono stata felice di sapere che Stella Pulpo aveva tentato il grande salto dal web alla famigerata carta stampata: mi è sempre piaciuto il suo modo scanzonato di scrivere, ricco di dettagli, metafore e slang, moderno e nel quale è facile ritrovarsi. Unica pecca: a volte il perseguire una grande adesione alla verità nel linguaggio ottiene l’effetto opposto di rendere il tutto un po’ forzato.

Il libro è raccontato dalla voce narrante della protagonista, Nina (evidente alter ego dell’autrice): originaria di Taranto vive e lavora da anni a Milano, si è perfino un po’ “milanesizzata”, anche se ci tiene a mantenere vivaci e riconoscibili le sue radici “terrone”. Nina è circondata da amici, alcuni in coppia, altri single, che le permettono di affrontare in lunghe conversazioni tutti i temi fondamentali nella vita di un trentenne: il lavoro, il matrimonio, come si rimorchia ad una certa età, come si passano le serate, quali sono i tipi di evitare e molti altri argomenti che tutti noi abbiamo sviscerato più e più volte.

Non è tutto rose e fiori ovviamente: nella vita di Nina c’è una grossa macchia, un ex ingombrante come un camion della nettezza urbana, Alessandro, che lei ha amichevolmente ribattezzato PDM (che sta per Pieno di Merda, in quanto il suddetto nasconde dietro una facciata attraente una gran quantità di orrido materiale caratteriale e umano); quanto questo passato avrà ripercussioni sul presente e soprattutto sul futuro della protagonista lo lascio scoprire a voi.

VOTO 30 FERMATE: Quasi 400 pagine mi hanno costretta a dare almeno 30 fermate, anche se troverete questa storia molto semplice da leggere e seguire; altissima probabilità di immedesimazione per le donne trentenni, ma anche gli uomini avranno molto da imparare dalle riflessioni dirette e mai filtrate di Nina.

CITAZIONE: “Mi confessa quanto sia complesso per  lui trovare una persona “normale” con cui anche solo parlare. E io so esattamente a cosa si riferisce. Perché l’ho vissuto. Perché, anche se questa città ormai la amo, qui ho sperimentato delle forme di solitudine che non avrei pensato possibili. È la cosiddetta “solitudine metropolitana”, quella reale e sostanziale, quella per cui se hai un problema sono cazzi tuoi; se hai la febbre, ti copri e vai da sola a comprarti le medicine, o la carta igienica, se l’hai finita, che comunque anche con 39 di febbre il culo te lo devi pulire lo stesso; è quella solitudine in cui o ti salvi per i fatti tuoi o nessuno si prende la briga di farlo per te; è quella solitudine per cui sei solo anche se ogni sera hai una cena fuori o un aperitivo; la stessa per cui ogni mese qualcuno s’ammazza lanciandosi in metropolitana: per esistere, almeno per un par d’ore, per gridare il proprio malessere a una collettività che l’ha programmaticamente ignorato. Non che qui siamo tutti cattivi e indifferenti. È che, semplicemente, funziona così: non rompermi i coglioni, che io non li rompo a te. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, puoi trovare del validissimo aiuto, a pagamento. Del resto: lavoro-guadagno, pago-pretendo, giusto? That’s Milano. Non solo questo, ma anche questo.”

 

Flavia Capone

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