DOVE SEI STATA di Giusi Marchetta , , ,

Non voglio mentire: quella di “Dove sei stata” è una storia difficile da digerire. E non certo per la scrittura, che è splendida come ormai da vari libri siamo soliti aspettarci da Giusi Marchetta. E’ difficile perché tutti siamo stati abbandonati nella nostra vita (o abbiamo abbandonato), con diverse gradazioni di sofferenza, in varie forme, e tutti possiamo confermare che è una delle sensazioni più dolorose che si possano provare e alle quali non c’è rimedio. C’è solo un “prima” e un “dopo”.

 

“Dove sei stata” di Giusi Marchetta (Rizzoli) – Intervista a Giusi Marchetta

Mario è un giovane uomo, avvocato a Torino, innamorato di Camilla e del loro gatto; ma il suo “prima” condiziona ogni giorno della sua vita, in maniera silente e costante: la madre Anna se n’è andata (è “scappata”) quando lui era bambino, lasciandolo a lacerarsi tra senso di colpa per non essere stato in grado di farsi amare abbastanza e rancore verso il padre, custode alla Reggia di Caserta, detto il Capitano.

La Reggia è ambientazione e protagonista: Mario è costretto a tornarci dopo dieci anni di assenza per supportare il padre vittima di un piccolo incidente, e una volta varcato l’ingresso torna bambino, viene travolto dal passato che lì sembra essere rimasto immobile ad aspettarlo, come le statue che Vanvitelli ha disseminato nel parco, muti testimoni di tutto e di nulla.

Tornare significa riaprire una ferita, che però forse è meglio far sanguinare perché si pulisca e si rimargini piuttosto che lasciarla chiusa e infetta. Mario vuole spiegazioni, vuole sapere: tornando si rende conto che non basta addossare ogni colpa al padre (e a se stesso) per trovare pace. Almeno finchè ci sarà qualcuno che conosce la verità.

La storia del protagonista si intreccia con quella di Gianluca, un bambino, anche lui “abbandonato” dalla madre, che è morta cadendo (gettandosi? venendo spinta?) dal balcone davanti ai suoi occhi. Così lui non è solo il povero orfano ma anche un importante testimone. Un piccolo “Io” esteriorizzato del quale Mario è costretto a prendersi cura, come forse altri non hanno fatto con lui.

Un bellissimo libro dove l’immaginario infantile prende vita ed ogni elemento del contesto, che sia naturale o artificiale, assume un nuovo significato alla luce delle vicende e dei sentimenti del protagonista: e allora le statue guardano ma non possono parlare, vogliono fuggire ma sono imprigionate, vengono punite e non possono ribellarsi.

VOTO 30 FERMATE: Un libro da centellinare, da godere in ogni singola pagina, anche se la voglia di scoprire la verità non sarà facile da tenere a bada. Preparatevi ad essere emotivamente colpiti, ad arrabbiarvi, a piangere e a tornare un po’ bambini, con quel misto di innocenza ed enorme lucidità che solo loro hanno.

CITAZIONE: “Certi pomeriggi, però, la leggenda non conta. Solo Mario sa cosa sta succedendo. Il rimbombo della cascata è forte ma le voci della dea e del mostro lui le sente lo stesso e, anzi, di tutte le persone che passano lì davanti, solo Mario capisce cosa si stiano dicendo Diana e Atteone, guardandosi appena con quegli occhi arrabbiati. Il mostro vuole portarla a vivere con lui in fondo al bosco. Lei dice no. Dice che vuole andare via dal Parco e che lui è solo un mostro con la testa di cervo e non può costringerla a restare. Le sue amiche le stanno tutte davanti per proteggerla e aiutarla a nascondersi. Lui però ha il fiuto di cervo e la trova lo stesso; allora lei chiama tutti i cani del bosco per ucciderlo e loro lo circondano, ma non possono fargli niente perché lui comanda su tutto il Parco, pure su di loro. Lei urla ancora e ancora che nel bosco non ci vuole più stare.

“Sei proprio scema!” grida lui. “Guardami la faccia: dove altro può vivere uno così?”

Flavia Capone

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