“Quella cosa intorno al collo” di Chimamanda Ngozi Adichie (Einaudi)
I racconti della scrittrice nigeriana colpiscono dritto e senza filtro, con un linguaggio semplice seppur ricco di dettagli e termini appartenenti alle sue origini, delineando un quadro chiaro di quanto sia complessa quella società e quanto sia ancora profondo il solco che la separa, nello specifico, da quella americana.
Un’America che è terra sognata e desiderata che velocemente può trasformarsi in prigione per le protagoniste di alcune storie, che vengono spedite lì come pacchi postali e costrette ad uniformarsi a canoni estetici e sociali che non comprendono e non amano. Compromessi e mancanza di appartenenza che in poco tempo diventano “quella cosa intorno al collo” che soffoca e lascia senza speranze.
Anche la famiglia ha un ruolo fondamentale, quella d’origine che può essere un nido accogliente o un covo di serpenti (come nell’ultimo racconto “La storica testarda”), e quella che ci si crea, aderendo ad un ideale di borghesia occidentale che non corrisponde al proprio vero io.
Una sottile malinconia percorre tutti i racconti, tutte le protagoniste ed i protagonisti, che sfidano una quotidianità senza aspettative e sorprese con una calma apparente che intimorisce, pronta a lasciare il passo alla rabbia e alla follia quando meno ce lo aspettiamo. Così come è anche la loro dignità ad emergere con forza, tra le lacrime, i drammi, la guerra, il male: l’unica qualità alla quale non sembrano disposti a rinunciare.
Il contrasto tra due società lontane, quasi opposte, fondate su valori discordanti, che paiono inferno e paradiso: il merito dell’autrice è quello di farci comprendere come Il Paradiso possa velocemente trasformarsi in un Inferno, progredito, pacificato ma sempre diabolico.
VOTO 30 FERMATE: Occorre pazienza e attenzione per comprendere il mondo di Chimamanda Ngozi Adichie, per immergersi in esso seguendo il filo delle vite che ci presenta. Ma una volta riusciti in questa impresa, è ancor più complicato venirne fuori senza lasciare una parte del proprio cuore nelle pagine. Date ai racconti il tempo di sedimentare, anche a costo di usare qualche viaggio in più.
CITAZIONE: “Avevano ammazzato suo figlio, era tutto ciò che era disposta a dire. Ammazzato. Non avrebbe detto nulla della sua risata acuta e tintinnante, che gli partiva da qualche punto sopra la testa. Del fatto che che chiamava caramelle e biscotti “dolcini”. Di come le si attaccava stretto al collo quando lo abbracciava. Della convinzione di suo marito che sarebbe diventato un artista, perché disponeva i pezzi del Lego uno accanto all’altro, alternando i colori, anziché usarli per costruire. Non meritavano di sapere nulla.”