IL BATTITO OSCURO DEL MONDO , ,

L’America mi ha sempre provocato sentimenti contraddittori: curiosità, fastidio, ammirazione, disgusto. Luca Quarin riesce a suscitare perfettamente queste sensazioni raccontando la storia di una famiglia del Massachusetts borghese, ricca e piena di ambiguità.

 

50 anni di vicende personali che inevitabilmente si intrecciano con la Storia con la S maiuscola, dagli anni ’60 ad oggi: seguiamo così prima John e Abbey, una coppia tenuta insieme da un’attrazione altalenante e confusa, lui inventore scostante, lei ninfomane alla continua ricerca di indipendenza, poi i loro figli William ed Elizabeth, uniti da un destino tutt’altro che limpido.

“Il battito oscuro del mondo” rischia ogni tanto di mettere troppa carne al fuoco, ma se si predilige una lettura attenta e concentrata si riesce a dipanare la matassa, creata soprattutto dai legami tra la famiglia ed alcuni loro celebri antenati.

Come spesso accade nelle storie familiari, ci sono molti personaggi, tutti funzionali, a diversi livelli, al succedersi degli eventi: è importante tenerli tutti presenti per gustarsi al meglio le loro “apparizioni” nei vari decenni; così come è interessante collegare la vita della famiglia agli eventi storici che contribuiscono, sottilmente ma sostanzialmente, a modificare ed influenzare questa piccola epopea.

Quarin è molto diretto nel suo racconto, non ha peli sulla lingua né censura i personaggi, che spesso si comportano male, hanno una dubbia moralità e pensano al sesso più della media: quindi in effetti c’è molto dell’America che siamo abituati a vedere al cinema e nelle serie televisive. Quell’America che sa essere razzista e paladina dei diritti, bigotta e libertina, tutto e il contrario di tutto.

VOTO 30 FERMATE: Una storia ricca di eventi, movimentata e accattivante: un buon libro da viaggio, adatto per spostamenti medio-lunghi, meglio ancora se avete a disposizione la Route 66!

CITAZIONE:Ordinò un Bloody Mary e lo tirò giù tutto d’un fiato, come se stesse morendo di sete, e poi chiese a Connor di fargliene un altro. Il tizio seduto accanto a lui disse che si trattava dell’inizio della fine, che l’America sarebbe andata in malora se continuava in quel modo. Poi si girò verso di lui e disse che il vero problema era la vicinanza.

– Non è che noi siamo qui e loro sono lì. Cioè che c’è una divisione. Quella c’è stata fino adesso, ma ora il movimento per i diritti civili vuole abolirla, eliminarla, farne a meno. Dunque d’ora in avanti loro saranno qui e anche noi saremo qui. Tutti e due nello stesso posto. Nelle stesse strade. Nella stessa città. Perché finché noi eravamo nei nostri quartieri e loro stavano nei loro la differenza era evidente. Le nostre strade erano pulite, alberate, in ordine. Le nostre case erano belle, dipinte di fresco, luminose. I nostri secchi della spazzatura erano sempre pieni di rifiuti.

Il tizio buttò giù un sorso della sua birra, si pulì la bocca con la manica della giacca e poi disse che le strade della gente di colore erano sporche, caotiche, disperate. Nelle loro case non c’era nulla. Mancava il pane, l’acqua, il carbone. Nei loro secchi dell’immondizia non c’erano neanche i rifiuti.

– Hanno uno sguardo pieno di rabbia. Si capisce che vogliono essere al nostro posto. Ci guardano come se il furore fosse il loro unico mezzo di trasporto.”

 

Flavia Capone

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