CANI PERDUTI , , , , ,

Ascoltare una canzone ed immaginare una storia: a quanti di noi non è capitato almeno una volta? Una storia di fantasia o un ricordo di vita vissuta, quasi tutto può essere legato ad un testo e a delle note.

Da questo principio nasce l’antologia di racconti della Pendragon, nella quale undici scrittori sono stati ispirati dai brani dei Pearl Jam, una delle band simbolo del grunge anni ’90 che, tra la vocetta niente male di Eddie Vedder, i testi evocativi e gli accordi malinconici ha influenzato una generazione e mi pare una scelta perfetta per lo scopo dell’opera.

 

“Cani perduti” di Eliselle e Gianluca Morozzi (Pendragon edizioni)

Amori giovanili non corrisposti, omicidi, suicidi, traversie adolescenziali: c’è di tutto in questo volume, tra alti e bassi di racconti più riusciti e altri meno, ma che colpiscono in ogni caso, soprattutto coloro che (come la sottoscritta) fanno parte di quella generazione di mezzo, vagamente sfigata va detto,  che ha fatto volente o nolente degli anni ‘90 la propria bandiera.

Qualche episodio emerge e convince più degli altri: quello di Alessandro Berselli che racconta la storia d’amore dal finale cupo della giovanissima Sonia, fan accanita tutt’altro che popolare; quello di Sara Bilotti, tanto onirico e crudo da far quasi male; e quello di Gianluca Morozzi, uno dei curatori della raccolta, che immagina un’audiocassetta dai poteri straordinari.

Chi ama i Pearl Jam si appassionerà a questo esperimento, ricordandosi forse di tutte le canzoni ascoltate legate a immagini della propria vita, ma anche i digiuni del genere potranno godere del potere evocativo di queste storie.

VOTO 20 FERMATE: Assegno 20 e non 10 fermate per il numero di pagine, ma i racconti sono molto agili e veloci. Provate a leggerli ascoltando la canzone alla quale sono riferiti, chissà che non aumenti ancora di più la forza delle parole (e poi si sa, le cuffiette in autobus spesso salvano la vita e le orecchie da chiacchiere inutili).

CITAZIONE: “Nico si guarda intorno preoccupato. Preoccupato per il viaggio di ritorno, per la pietra vecchia dell’arena che potrebbe cedere in un istante, per una possibile via di fuga inesistente, per il gruppo in ritardo già di venti minuti.(…)Nico, vorrei tanto abbracciarti e dirti che ti stai facendo solo delle pippe mentali, ma in realtà il baratro che descrivi con tutta la tua persona lo vedo bene anch’io. Forse a salvarmi sono le vertigini di cui soffro da sempre, che mi fanno accucciare venti metri prima di ogni precipizio. Mi vengono meno le gambe.”

Flavia Capone

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