“Terremoto” di Chiara Barzini (Mondadori)
La famiglia di Eugenia capita proprio nella zona della città che si potrebbe definire un enorme backstage, la squallida realtà fatta di droga, povertà, alcolismo e famiglie problematiche che si nasconde dietro le facciate hollywoodiane. Ed è una famiglia già di per sé geneticamente caotica, con la classica impostazione sessantottina dei genitori che tanta confusione e rabbia è stata in grado di suscitare in molti figli.
“Terremoto” è un romanzo di formazione, il viaggio di una ragazza che non trova un posto, non sa se e quale ruolo assumere, se sia meglio continuare ad indossare il “costume di gomma” che la protegge dalle emozioni o gettarsi a capofitto in una vita che potrebbe colpirla con troppa violenza.
Chiara Barzini ha scritto questo romanzo prima in inglese, lingua madre “acquisita”, e forse questo le ha permesso di conservare ritmo, precisione e acume tagliente anche in italiano. Vi perderete nella vita di Eugenia, nei suoi pensieri, sorprendentemente coraggiosi e mai filtrati, nelle descrizioni dell’America e delle Eolie, i due luoghi fondamentali del libro, che accolgono e amplificano le esperienza della protagonista. Lo sguardo crudo di Eugenia riesce a rendere perfettamente la varietà e la complessità di quella parte degli Stati Uniti, dove stelle e, è proprio il caso di dirlo, stalle convivono a poca distanza.
Riderete, vi arrabbierete e forse vi emozionerete un po’: un vortice di reazioni contrastanti così come la vita quotidiana, ed in questo caso un buon romanzo, sono soliti regalare.
VOTO 30 FERMATE: Non riuscirete a staccare gli occhi dalle pagine, quindi magari scegliete questo libro per un viaggio in treno e per quelle simpatiche trasferte cittadine che tra traffico, lavori in corso, scioperi e amenità varie, richiedono parecchio tempo.
CITAZIONE: “Mia madre tirò fuori dalla borsa due panini mollicci con il Philadelphia e un bottiglione d’acqua calda da un gallone, che aveva comprato giorni prima in una stazione di servizio e lasciato in macchina. L’acqua sapeva di plastica. «Ragazzi, si mangia.» Con un cenno ci invitò ad avvicinarci e continuò a sorridere nonostante fossimo visibilmente arrabbiati. Questo ci fece arrabbiare ancora di più.
«No grazie.»
Preferiamo star qui a odiarti.”