“La treccia” di Laetitia Colombani (Casa Editrice Nord)
Le tre donne protagoniste sono Smita, Giulia e Sarah, che provengono da tre continenti differenti: Smita è indiana, Giulia è di Palermo, Sarah vive a Montreal. Smita è una dalit, una categoria esclusa dalla società delle caste indiane, costretta a svuotare le latrine a mani nude per vivere. Giulia è una ragazza che lavora nel laboratorio del padre, in cui si realizzano parrucche da generazioni. Sarah è un brillante avvocato che lavora nello studio legale più famoso della città e dedica la sua vita interamente al lavoro. Le tre donne saranno costrette a fare i conti con l’imprevedibilità della vita, che le mette di fronte a delle scelte dure ma irrevocabili.
Il filo che lega le tre storie non è solo quello sottile e impercettibile di un capello, ma è anche la voglia di riscatto quando tutto sembra scivolare verso il baratro. Le tre donne indirizzano i loro sforzi verso una condizione di vita migliore. Smita cercherà di allontanare sua figlia da un destino ormai segnato, che in India è difficile da sovvertire; Giulia dovrà fare i conti con un amore ostacolato e problemi di natura finanziaria; Sarah dovrà scegliere tra la sua salute e la sua carriera. Tre figure forti che non si rassegnano, così tenaci da risultare un esempio per il lettore. Così come sono stato tenace io a non fare battute sul tema intreccio-capelli per tutta la durata della recensione.
Voto 20 fermate: La lettura è piacevole e scorrevole. Le tre donne sono caratterizzate psicologicamente in modo eccellente. Le tre storie sono, ovviamente, intrecciate, fino alla fine della treccia, quando le vicende di Smita, Giulia e Sarah saranno legate per sempre, senza neanche conoscersi. Un’opera che in un mondo sempre più globalizzato ci fa capire quanto le relazioni umane siano importanti, quanto ognuno abbia bisogno degli altri e quanto l’odierna società possa rappresentare anche un’opportunità.
Citazione: Ciò che temeva di più, alla fine, è successo: Sarah è diventata il suo cancro. È la personificazione del suo tumore. In lei, gli altri non vedono più una donna di quarant’anni brillante, elegante, efficiente, bensì l’incarnazione della sua malattia. Per loro non è più un avvocato malato, è una malata che fa l’avvocato. C’è una differenza enorme. Il cancro fa paura. Ti isola, ti allontana dagli altri. Emana odore di morte. La gente preferisce distogliere lo sguardo, tapparsi il naso. Un’intoccabile. Ecco che cos’è diventata. Una reietta della società.