“I ragazzi della Nickel” di Colson Whitehead non mi ha affatto deluso, mi ha letteralmente intrappolato tra le sue pagine in due giorni di lettura intensa e ha confermato il talento del suo autore.
Siamo in Florida all’inizio degli anni ’60, i movimenti per i diritti civili si stanno espandendo ed Elwood, ragazzino amante dei libri che vive da solo con la tostissima nonna Harriet, ne subisce il fascino ed ascolta ininterrottamente un vinile di discorsi di Martin Luther King. Sta per iniziare il college, uno dei pochi afroamericani a poter proseguire gli studi, quando un destino che definire avverso è puro eufemismo, lo conduce, accusato di un crimine mai commesso, nella scuola-riformatorio più tristemente celebre della zona, la Nickel Academy.
“Non puoi sapere cosa stimola gli altri. Una volta pensavo che fuori era fuori, e poi una volta che sei dentro sei dentro. Che alla Nickel la gente era diversa, per via di quello che ti succede quando sei qui. Anche Spencer e quegli altri… forse là fuori, nel mondo libero, sono brave persone. Sorridenti. Gentili con i loro figli.» Contorse la bocca, come se stesse succhiando un dente marcio. «Ma adesso che sono uscito e ritornato dentro, so che qui non c’è niente che cambia le persone. Qui dentro e là fuori è la stessa cosa, solo che qui dentro non si deve più fingere.»”
Non si deve fingere alla Nickel, soprattutto se i tuoi istinti sono violenti e perversi: Elwood si trova catapultato in un universo dove il suo senso di giustizia, la sua “resistenza”, il suo amore per la cultura, sono solo motivi in più per essere punito, per scatenare negli abietti sorveglianti rancore e rabbia immotivati.
Alla Nickel ci sono ragazzi bianchi e ragazzi di colore, e ovviamente la differenza di trattamento è evidente, anche se violenza è la parola d’ordine per tutti i giovani che sono lì per essere “corretti”. Una violenza subdola e mai troppo evidente, che Colson Whitehead sa far percepire da piccoli dettagli e anche solo evocando una sensazione di disagio che si trasforma in panico e poi in terrore.
Una storia che prende avvio dalla realtà: la Dozier School of Boys in Florida è realmente esistita e pochi anni dopo la sua chiusura nel 2011 sono emerse prove degli abusi e delle vittime, sepolte in tombe nascoste intorno all’edificio, mai denunciate e mai identificate. Ma non è solo questa la realtà che viene evocata nel libro: il sentimento di odio verso l’altro, il diverso, il nero, è vivo più che mai e, così come nel suo prededente romanzo, Whithead non ha paura di riportarlo alle sue radici e di gettarlo in faccia al lettore, senza calcare su toni drammatici, utilizzando un linguaggio piano ma sferzante, dietro il quale non ci può nascondere. Elwood nonostante tutto continua a credere che esiste una vita migliore, sa che deve solo trovare un modo per uscire dalla Nickel e prendersela. Così come è possibile uscire dalla gabbia di ottusità e pregiudizio per realizzare la vera libertà.
VOTO 20 FERMATE: L’ho letto in due giorni, la passione ha avuto il sopravvento. Credo però che meriti una lettura più approfondita e attenta, dedicategli qualche viaggio in più e perdetevi nella splendida scrittura di Whitehead (e nella bella traduzione di Silvia Pareschi).
CITAZIONE: “Il suo discorso girava in tondo, ogni cosa rimandava a se stessa. Elwood disse: «È contro la legge». La legge dello stato, ma anche quella di Elwood. Se tutti guardavano dall’altra parte, allora erano tutti complici. Se lui guardava dall’altra parte, era coinvolto quanto gli altri. Quello era il suo modo di vedere le cose, lo era sempre stato.”
Flavia Capone