grande era onirica marta zura-puntaroni

GRANDE ERA ONIRICA , , ,

La cronaca dura e graffiante di una lenta discesa nel proprio malessere, questo è “Grande era onirica”, nel quale Marta (si, come l’autrice), laureata che vive a Siena, ci racconta giorno per giorno la sua vita attraverso le “ere oniriche” provocate da farmaci che è costretta a prendere e dipendenze che sviluppa.

 

“Grande era onirica” Marta Zura-Puntaroni (minimum fax)

Una storia malata, nel senso di malattia reale, patologia:  anche le storie d’amore, quasi sempre a senso unico, ovviamente contribuiscono allo stato della protagonista, che passa da un Poeta quasi inesistente a un Altro che le dichiara di volerle bene si, ma come a un cane. C’è molto dolore in questo romanzo d’esordio, ma il tono a volte grottesco e mai di autocommiserazione fa sì che Marta non sia una vittima noiosa ma una sorta di anti-eroina di se stessa.

La donna non perde mai la sua rabbia, il rancore, che leggendo ci pare più che giustificato, verso chi le ha fatto e continua a farle del male, e per questo non è mai patetica; anzi, ho tifato per lei in ogni pagina, in ogni singolo passo falso, caduta e tentativo di continuare a lottare. Perché il bello di Marta è che nonostante tutto non vuole arrendersi, neanche quando forse parte del suo corpo e della sua mente sono pronti a farlo.

Le descrizioni precise e puntuali di quello che accade al suo corpo, dei sogni e degli effetti provocati dalle sostanze rendono tutto vero, respingente ma anche affascinante; un’accuratezza scientifica che non sminuisce minimamente il peso delle emozioni.

VOTO 30 FERMATE: Non è un libro semplice, forse alcuni potrebbero dover procedere con calma per accettare il percorso di Marta; per me è stato l’opposto, ho divorato le 180 pagine in poco tempo, ma 30 mi sembra un giusto numero di fermate in grado di accontentare tutti.

CITAZIONE:Ecco, lo sto facendo di nuovo: c’è un personaggio – no,una persona – che agisce in maniera diversa da come io avrei previsto, il cui comportamento per me è inspiegabile – scomparire così: perché? – ed ecco che gli nego perfino il diritto d’esistere. Tutti gli uomini sembrano abbandonarmi. L’immagine di mio padre che se ne va lasciandomi in mezzo alla neve nei faggeti dell’Alta Valle, che mi lascia in mano il suo orologio: aspetta che la lancetta arrivi fino a qui, mi diceva. Poi, cerca di ritrovare la strada di casa.

Non avere paura –non era una rassicurazione, era un imperativo. Non avere paura. Non avere paura. La mia infanzia scritta dai fratelli Grimm, la crudezza che la percorre, la forza spietata, i personaggi tutti così, primordiali e tremendi.”

Flavia Capone

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