“Il contrario delle lucertole” di Erika Bianchi (Giunti editore)
“Il contrario delle lucertole” è una storia familiare, di confronti fra famiglie e soprattutto fra modi diversi di reagire ai traumi della vita: tutto inizia nel 1948 in Francia, dove Zaro, giovanotto spavaldo della provincia toscana appassionato di bicicletta, che si muove con il team di Bartali, conosce, ama e ingravida Lena, altrettanto giovane e sprovveduta cameriera francese. Nascerà Isabelle, che Zaro sarà costretto ad incontrare dieci anni dopo e non vorrà riconoscere, diversamente da suo figlio Nanni, che rimarrà affascinato da questa nuova e improvvisa sorella.
La storia prosegue venti anni dopo con la famiglia che Isabelle si è formata: un marito dolce che non ama abbastanza e due figlie, Marta, più forte ed in grado di ritagliarsi un ruolo, e Cecilia, piena di rancore e povera d’affetto, che decide di non mangiare per trovare la propria determinazione e fare breccia nel cuore della madre che vorrebbe solo fuggire dal peso della loro presenza.
Erika Bianchi racconta delle vite mancanti, personaggi che si sentono privati di qualcosa che gli spettava: una madre, un padre, la libertà di scegliere che direzione dare alla propria vita. E ognuno reagisce diversamente, chi fuggendo, chi amando di più, chi odiando se stesso, in un mosaico di eventi che ci coinvolgono perché sono in fondo simili alle nostre esistenze.
Le nostre scelte, come quelle dei personaggi, sono dettate, o almeno in parte determinate, dalle presenze e dalle mancanze, che non possono semplicemente essere sostituite o ricrescere, come accade alle code delle lucertole.
VOTO 30 FERMATE: Il libro è strutturato per flashback: si parte dal passato e si va avanti ed indietro nel tempo, alla ricerca delle cause che hanno scatenato gli eventi e indirizzato le vite dei personaggi. Seguite con attenzione la trama e perdetevi come si fa nei ricordi: questo è un libro che può essere in grado di scavare profondamente e colpire nel segno.
CITAZIONE: “Ho paura che il tuo odio tutto insieme mi tramortirebbe. E allora addomestico il serpente che è spuntato dalle crepe inaridite di ciò che un giorno provavi per me, lo lascio giocare come il gatto col topo. So che è solo questione di tempo prima che mi affligga un morso potenzialmente letale, ma quando succederà sarò pronto. Assorbo dosi di veleno quotidiaane per assuefarmi, stillo il tuo disprezzo a gocce e lo uso come un principio omeopatico, come un vaccino. E’ il mio modo di essere responsabile verso i nostri figli. Quale sia il tuo, ancora non l’ho capito.”