ICONE METROPOLITANE #1 – RUDOLF NUREYEV 30 Ottobre 2018 – Posted in: News

Letture Metropolitane dedica la prima puntata di ICONE METROPOLITANE a Rudol’f Nureev, raccontato da Adriano Ercolani.

Nato, nel 1938, su un vagone passeggeri della Transiberiana, massimo orgoglio e poi cocente umiliazione per l’Unione Sovietica, icona universale della danza, Rudolf Nureyev (dopo Nijinsky del quale purtroppo non abbiamo testimonianze video) è senza dubbio il ballerino più famoso del Novecento.

In occasione del venticinquesimo  anniversario della sua scomparsa, il 29 e 30 Ottobre sarà nelle sale il documentario Nureyev. Il genio ribelle che danzava per la libertà, presentato da Nexo Digital, per la regia di Jacqui e David Morris. Il documentario segue fedelmente le tappe della straordinaria vita del grandissimo ballerino. Dagli esordi negli stenti della Russia del Secondo Dopoguerra, tra le irate proteste paterne per una così radicale vocazione, alla prima grande svolta della carriera, ovvero l’ammissione nel ’55 all’Accademia Vacanova del Teatro Kirov di Leningrado, presso la quale studiarono leggende precedenti come, appunto, Nijinsky e Anna Pavlova, e che Nureyev preferì al Bolshoi (Accademia Vacanova presso la quale si diplomerà anche il suo amico e collega Mikhail Baryshnikov, altro grande nume della danza russa)… tutto ciò fino ai primi grandi successi, verso la fine degli anni ’50, come Il lago dei cigni e Giselle che lo rendono un vero e proprio simbolo della cultura sovietica nel mondo. Proprio questa imponente affermazione in patria condurrà al cortocircuito che farà da spartiacque nella carriera di Nureyev. Nel ’61, Konstantin Sergeev, stella del Kirov, si infortuna: il Nostro deve sostituirlo all’Operà di Parigi. Il successo è straordinario: a gran voce si chiedono repliche anche a Londra. Ma il KGB, irritato dalla condotta sregolata di Nureyev nei locali parigini, lo richiama improvvisamente in patria, obbligandolo ad annullare date in prestigiosi teatri, con la scusa di un’importante esibizione al Cremlino.

Nureyev sa che è un trappola: sa che se tornerà in Russia, non potrà più tornare in Occidente. Da qui la drammatica svolta: attraverso una fuga picaresca, si rende irreperibile, chiede asilo politico alla Francia, ben felice di concederglielo, mentre la Russia lo condanna in contumacia per alto tradimento.

Addirittura, si scoprirà che per vendicare tale affronto, il KGB meditò di spezzargli le gambe.

Nureyev non potrà più tornare in patria, fino all’avvento della perestrojka, nel 1987. Ma, se da un lato, questa decisione lo costringerà ad abbandonare la propria famiglia, i propri amici, la propria patria, dall’altro gli consentirà di diventare l’icona della danza internazionale che tutti conosciamo.

L’ennesimo salto di qualità è l’incontro nel ’62 con Margot Fonteyn, una delle più grandi ballerine della storia inglese: tra i due nasce una simbiosi artistica, e umana, forse senza riscontri nella contemporaneità, i due conquistano a colpi di trionfi, i teatri di tutto il mondo, da Tokyo a Sydney, da New York a Milano. Parallelamente ai successi sul palco, il mito di Nureyev viene alimentato dalla condotta sregolata nella vita privata: nel ’67, i due vengono arrestati durante un festino per possesso di marijuana. L’anno dopo, il cruciale 1968, avviene l’altro decisivo incontro della sua vita: quello con Erik Bruhn, direttore del Balletto Reale Svedese e in futuro del Balletto Nazionale Canadese. Erik Bruhn è una stella della danza mondiale, ha dieci anni più di Nureyev: i due divengono amanti, dal loro connubio artistico e emotivo nasce una delle storie d’amore più affascinanti della storia della danza. Negli anni ’70 diventa un’icona pop, come già in precedenza Maria Callas, interpreta Rodolfo Valentino nello scandaloso film biografico di Ken Russell, partecipa più volte a The Muppet Show. Nel 1983 viene addirittura nominato Premier Maître de Ballet del Balletto dell’Opéra di Parigi.

Come purtroppo è noto, verso la fine degli anni ’80 Nureyev sarà una delle vittime più celebri dell’AIDS. Apparirà un’ultima volta in pubblico, dopo aver ricevuto i più alti onori in terra di Francia, alla prima de La Bayadère all’Operà, magrissimo e segnato dal morbo, ma in tutto il suo intatto carisma.

Nel documentario, Nureyev appare fiero, bello come un dio, umile con i maestri, brillante nelle interviste, generoso con gli amici, irascibile con la critica. Ma al di là del fascino irresistibile, la grandezza di Nureyev è nella sua pressoché unica capacità di conciliare una tecnica infallibile con una leggerezza che appariva sovrumana.

Era in grado di volare sul palco e di danzare a una velocità impressionante senza minimamente tradire alcuno sforzo. Fu il primo a conciliare danza classica e danza moderna. Più volte nel documentario affiora il rapporto di contrasto con la Russia, egli si dichiarava fiero delle sue radici tartare, non a caso era appellato “Il Tartaro Volante”.

Il documentario è imperdibile per gli appassionati di danza, anche se talvolta eccede in dissolvenze e ricostruzioni che necessariamente non rendono giustizia alla grazia dell’artista. Vale il prezzo del biglietto la contemplazione di Nureyev, non solo sul palco, ma anche nei lenti, ipnotici gesti impercettibili durante le immagini di repertorio di interviste e momenti privati.

Troviamo invece pertinenti le citazioni che fanno da cornice al racconto, da Albert Camus a Bob Dylan, citazioni che sottolineano il valore unico del genio. Ricordiamo le parole definitive di Nureyev, molto simili a quelle che in altri campi geni come Dylan hanno rivolto a se stesse: “La danza è tutta la mia vita. Esiste in me una predestinazione, uno spirito che non tutti hanno. Devo portare fino in fondo questo destino: intrapresa questa via non si può più tornare indietro. È la mia condanna, forse, ma anche la mia felicità. Se mi chiedessero quando smetterò di danzare, risponderei “quando finirò di vivere””.

Adriano Ercolani